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Monica Mazzitelli ha incontrato per Lyktan lo scrittore Nicola Lagioia, per dialogare a proposito del suo romanzo “La città dei vivi”, di recente pubblicato in svedese. Pur basato su un fatto di cronaca nera, il saggio tocca anche cupe corde personali.
Nicola Lagioia (Bari, 1973) è uno dei più importanti scrittori italiani e un influente protagonista della scena culturale italiana contemporanea. Oltre ai suoi romanzi pluripremiati (anche con il Premio Strega), Lagioia collabora con le più importanti testate giornalistiche italiane
Il suo romanzo “La città dei vivi” è stato di recente pubblicato in svedese da Bonniers con il titolo “De levandes stad”. È un true crime che ha come tema un episodio di cronaca nera di cui sono stati protagonisti due giovani, Marco Prato e Manuel Foffo, che hanno brutalmente – e apparentemente senza motivo – torturato e infine ucciso un giovane prostituto di 23 anni, Luca Varani. A parte alcuni eccessi con droga e alcolici, i due conducevano una vita piuttosto regolare, e non avevano precedenti penali.
Poco dopo l’esplosione del caso, la redazione di Repubblica chiede a Nicola di scrivere un articolo sul delitto e lui non può dire di no: è un caso oggettivamente interessante, e lo scrittore se ne sente toccato quasi suo malgrado. Lagioia inizia un viaggio investigativo attraverso tutti i fatti e le persone coinvolte, conducendo anche innumerevoli interviste. Il risultato è un lungo saggio narrativo che cattura il lettore come un thriller, anche se gli eventi sono svelati già dalla prima pagina: il grande mistero non è chi siano gli assassini e come abbiano ucciso, ma perché abbiano commesso un omicidio che somiglia più a un rituale psicotico che a un atto criminale.
– Ho pensato che fosse una storia terribile ma al tempo stesso interessante da raccontare. Due giovani senza precedenti penali provenienti da famiglie dell’alta e media borghesia si trasformano in assassini brutali e spietati, racconta Nicola.
Non c’è alcuna morbosità nell’interesse di Lagioia in questo caso, ma piuttosto qualcosa di molto personale.
– La verità è che io ho sentito una prossimità, diciamo così, nei confronti di tutti e tre. Non perché ne condividevo le vite o il temperamento, ma perché mi è scattato un senso di partecipazione alla loro tragedia di vita, all’essersi messi nei guai così giovani, li ho sentiti come tre amici, anche se più piccoli di me … Per una questione anagrafica, io ho sempre scritto libri i cui protagonisti erano miei coetanei o più grandi, questa è la prima volta che scrivo di persone di generazioni successive alla mia.
– Marco e Manuel sono indubbiamente colpevoli, però questo non toglie che io sia stato umanamente colpito dal loro destino nel momento in cui mi sono reso conto di quanto i fatti siano stati condizionati da un destino tanto casuale quanto fatale: se Marco e Manuel non si fossero conosciuti, nessuno di loro – da solo – avrebbe mai commesso un atto simile. Dico questo senza ovviamente togliere neanche un grammo alla loro colpevolezza.
Il primo pezzo del puzzle: Lagioia accompagna il lettore in un viaggio che non riguarda solo due giovani assassini, ma anche il suo personale percorso di vita. L’autore racconta che quando era bambino i suoi genitori si erano separati – cosa rara e malvista nella Puglia di allora – e per vergogna sociale lui aveva deciso di tenerlo nascosto a tutti, costringendosi a condurre una faticosissima doppia vita. Sin dall’adolescenza aveva iniziato a bere per sostenere lo stress di questa situazione, e quando era ubriaco aveva comportamenti folli e sfrenati. In due occasioni la situazione aveva preso una piega tale che il suo agire avrebbe potuto provocare lesioni gravi o addirittura la morte di qualcuno.
Oltre ai due giovani killer c’è anche la vittima, il povero incolpevole Luca Varani, che pensava avrebbe semplicemente fatto l’ennesima marchetta senza complicazioni.
Luca soffriva di ludopatia e conduceva una doppia vita: era un “bravo ragazzo” agli occhi della sua fidanzata e dei suoi genitori, ma nel suo giro di amici era conosciuto come un pusher di piccolo calibro che vendeva sesso a uomini di tutte le età, in buona parte per finanziare la sua dipendenza dal gioco.
Terminati gli studi, Nicola lascia Bari per trasferirsi a Milano, ripromettendosi di non tornare mai più a vivere nella sua città natale. Dopo qualche tempo, gli viene promesso un lavoro a Roma e ci si trasferisce con grande entusiasmo. Ma il sogno si infrange non appena si rende conto che il lavoro promesso è una bufala. Si ritrova povero in canna dopo pochi giorni, e i suoi tentativi di trovare un’occupazione danno così poco frutto che alla fine decide di mettere un annuncio per offrirsi come gigolò. Tenta in prima battuta con un pubblico femminile ma, non ottenendo nessun risultato, decide di virare verso la clientela gay. La risposta lì è immediata: viene contattato da uomini – perlopiù anziani – interessati a pagarlo per fare sesso. Non accetta ma per qualche tempo tiene aperta questa possibilità nonostante il solo pensiero lo faccia sentire degradato, svalutato, frantumato.
– Se in cambio di centomila lire avessi fatto sesso con un vecchio sconosciuto, cosa ne sarebbe stato della mia autostima? Avrei retto? Sarei crollato?
Dopo un po’ trova finalmente un lavoro che lo salva da quella situazione, ma continua a portare dentro di sé una sensazione di mortificazione, nel corpo e nell’anima, nonostante abbia solo sfiorato l’idea della prostituzione. È raro e prezioso che queste considerazioni arrivino da un uomo – per di più quasi solo come intuizione emotiva – e che lui riesca a descrivere così accuratamente questo stato d’animo che accomuna le donne che praticano la prostituzione, e che viene spesso attribuito a una presunta fragilità femminile. Che Lagioia abbia scelto di esporsi in modo intimo articolando i suoi ricordi e sentimenti in questo modo è un piccolo miracolo, soprattutto per la letteratura italiana.
Con questo, un altro pezzo del puzzle trova il suo posto.
La maggior parte dei critici che hanno recensito il libro hanno ignorato o non gradito una trama secondaria della narrazione, il cui protagonista è un olandese di mezza età. Al contrario io l’ho molto apprezzata e mi è stata utile per completare il mio puzzle sull’autore.
Questa storia – scollegata dai famosi fatti di cronaca narrati – si occupa di un olandese di mezza età che visita regolarmente Roma, e ricorre per brevi tratti lungo tutto il libro. Se non vi piacciono gli spoiler, fermatevi qui, perché voglio svelare che verso la fine del libro capiamo che quest’uomo è un pedofilo che torna di frequente nella capitale per abusare sessualmente di minorenni, che gli vengono procurati da una rete criminale.
Dopo che l’olandese ha fatto sesso con un ragazzo nordafricano di 13 anni in un appartamento vicino alla stazione Termini, la polizia entra in casa e lo arresta. Ad allertare le forze dell’ordine era stato proprio il coraggioso tredicenne: un ragazzino indigente e senza appoggi, sbarcato sulle coste italiane come clandestino e facile preda della forma più ripugnante di trafficking, dato che è costretto ad accettare qualsiasi cosa pur di sopravvivere. Fino a quando decide di alzare la testa e dire basta, e uscire allo scoperto. Vivo.
Ecco l’ultimo pezzo del puzzle: Luca è vendicato – e anche Nicola.
È solo un istante – a causa di un vuoto normativo il pedofilo viene rilasciato – ma resta nel cuore quel momento di riscatto.
Tanti strati e umanità in queste pagine. Lagioia non offre assoluzioni, ma fa sperimentare al lettore un’empatia profonda e indimenticabile. Per Luca, ma anche per Manuel e Marco. Il dono nascosto e più importante di questo libro.
Monica Mazzitelli • 2024-09-18 Monica Mazzitelli è una regista e scrittrice femminista italo-svedese, autrice di articoli su temi culturali e sociali.